Tempi stretti e troppi vincoli, ecco perché serve ritarare il Pnrr
Il commento di Marco Nicolai, esperto di funding pubblico e partner di Gfinance
per la Rubrica Obiettivo PNRR del Giornale di Brescia del 26 aprile
Il Recovery Plan è stato caricato di sfide e responsabilità che la sola dimensione finanziaria, seppur straordinaria con la sua dote per l’Italia di 235 miliardi di euro, non può assumere. Gli industriali sanno che il successo di un piano strategico dipende dalla sua esecuzione e qui sedimentano i maggiori rischi del Pnrr, che non difetta per strategia ma trova i suoi limiti nei dispositivi attuativi (bandi e schemi di incentivazione).
I tempi sono strettissimi, incalzati dagli obiettivi da conseguire per incassare le rate dell’UE (solo per il semestre in corso 45 europei e 70 nazionali intermedi e 55 legati al Fondo complementare, e da qui a fine anno si conta un obiettivo ogni 3 giorni). Nel solo mese di marzo sono state deliberate 49 procedure per 21,4 mld, un problema per le imprese che devono orientarsi nella loro interpretazione. Le scadenze di spesa hanno indotto ad accorciare i tempi per presentare le domande, a discapito della programmazione che un progetto d’impresa richiede, tanto più se innovativo.
Si pensi ai Contratti di Sviluppo dove in poco più di 30 giorni (dal bando del 18 marzo al primo termine per la presentazione dell’11 aprile) le imprese dovevano redigere un progetto da 20 milioni, o all’accelerazione esasperata per adottare tecnologie basate sull’idrogeno.
Sui temi ambientali le scadenze incombenti hanno inoltre costretto alla presentazione di progetti green solo di facciata.
La mole di bandi e risorse, che sana in parte il divario di aiuti per l’impresa italiana inferiore da anni a Francia e Germania e sotto la media UE, ha inoltre congestionato l’organizzazione Pubblica sottorganico e in molti casi senza le dovute competenze come evidenziato dalla Corte dei conti nella prima relazione di controllo sul Piano Nazionale.
Dall’altra parte pur di avere la garanzia di rendicontare la spesa, alcuni interventi sono stati dei veri elicopter money distribuendo risorse senza criterio, come la misura Simest per la patrimonializzazione.
Altro limite è il fatto che in moltissimi casi gli strumenti d’incentivazione delle imprese sono gli stessi del passato esclusivamente adeguati e appesantiti dai vincoli comunitari (Transizione 4.0, contratti di sviluppo, Accordi innovazione, finanziamenti all’internazionalizzazione), quindi anziché essere oggetto di una manutenzione straordinaria per adattarli alle esigenze di una politica industriale più affinata, aggiungono un aggravio documentale. Si pensi all’esigenza, per rispondere alla priorità ambientale, di disporre di una certificazione verde anche per una semplice stampante.
In diversi hanno poi evidenziato la discrasia di avere poche risorse per le piccole e medie imprese e tanti per pochi grandissimi player. Sul lato offerta si è detto che i 6 miliardi assegnati alla ricerca con protagonisti università ed enti di ricerca sarebbero stati un’occasione per le imprese. Peccato che a governare questi fondi con megaprogetti siano le università senza meccanismi di cooptazione competitiva con le imprese: come se dovesse scegliere l’oste a chi dare le risorse per bere il proprio vino e non il cliente che decide autonomamente in che enoteca servirsi e che vino bere.
La mole di bandi ha inoltre congestionato l’organizzazione pubblica sottorganico e in molti casi senza competenze, e a poco servirà l’ingresso annunciato di un milione di nuove risorse tra dipendenti e incarichi di collaborazione, una mole che mina la qualità della selezione.
Tutto questo rende necessario un adeguamento imponente delle regole del gioco, e il Governo proprio giovedì ha varato un nuovo decreto volto a semplificare l’attuazione del PNRR. Ma altri ne dovranno seguire.